Le persone con disabilità, oltre all’impegno quotidiano per compensare le loro difficoltà, spesso devono anche fare i conti con l’impatto che la loro condizione genera nelle altre persone.
Vi raccontiamo la storia di Mattia, affetto da EB, più nota come sindrome dei Bambini Farfalla, che ci ha concesso una intervista.
La EB è una malattia genetica rara scientificamente nota come epidermolisi bollosa (EB). Si tratta di una malattia della pelle che può interessare anche le mucose. Per questa estrema fragilità della pelle, sono definiti “Bambini Farfalla”. Dalla nascita, i bambini affetti da EB presentano spesso grosse bolle ed estese lacerazioni della pelle che guariranno solo dopo mesi di ricovero ed in seguito a medicazioni quotidiane. Le sofferenze inflitte dalle piaghe da EB sono state paragonate a quelle da ustioni di terzo grado. La sindrome ha un’incidenza di 1 bambino su 17mila su base mondiale, mentre in Italia si registra un caso su 82mila nati, Si tratta di una malattia invalidante, per la quale non esistono ancora cure risolutive.
“ Mi chiamo Mattia ho 28 anni, vivo in provincia di Milano, lavoro in una società che si occupa di gestione fiere dal 2018. Ho una malattia della pelle, che si chiama epidermolisi bollosa, che ho sin dalla nascita, quindi faccio parte delle categorie protette. Nonostante iscritto nelle categorie protette, per me trovare lavoro non è stata una cosa semplice, anzi, è stata un’impresa durissima.”
La EB è una malattia che si vede e, per chi non la conosce, ha un impatto visivo notevole.
“Dopo aver superato le quotidiane sfide della vita, nel 2015, Mattia si è diplomato regolarmente avendo frequentato un istituto commerciale. Aveva voglia di fare, voleva trovarsi un lavoro, aveva tanti progetti” racconta mamma Antonella, che alla nascita di Mattia non si è persa d’animo, ha cercato di comprendere la patologia del figlio, e oggi è parte attiva di una associazione che raggruppa famiglie con bambini e ragazzi affetti da EB (Debra Sudtirol, n.d.r.) oltre ad essere una instancabile ottimista.
“Mattia si è iscritto alle categorie protette subito dopo il diploma. Gli operatori del settore, coloro che avrebbero dovuto dargli supporto, hanno definito la sua come una “patologia da impatto”, nel senso che avendo un impatto sulla sensibilità visiva degli altri, poteva essere una ulteriore difficoltà per la ricerca di una occupazione. Dal 2015 al 2017 Mattia ha risposto ad alcune chiamate, ma nonostante avesse la preparazione, le capacità e le qualità per svolgere il lavoro proposto, appena è stato visto non è stato preso in considerazione, ha ricevuto solo rifiuti. Alla disabilità oggettiva, quindi si è aggiunto un ulteriore problema: la difficoltà di farlo accettare per le proprie capacità, oltre il semplice aspetto fisico e visivo.”
Il perdurare della situazione, le incomprensioni da parte di chi avrebbe dovuto portare supporto, la demotivazione stavano avendo ripercussioni anche sulla patologia e sulla salute di Mattia.
“Poi per un caso davvero fortuito” racconta mamma Antonella “nel 2018 Mattia è stato assunto. Le persone che hanno deciso di assumerlo avevano sentito parlare della sua patologia, si sono informate, sono andate oltre l’aspetto fisico, hanno valutato principalmente le sue capacità. Non si sono fermate all’impatto visivo iniziale, sono andate oltre. Dapprima con un contratto a tempo determinato, poi con un contratto a tempo indeterminato, proprio come qualsiasi altro lavoratore. Mattia ha cambiato la propria proiezione di vita, ha ritrovato motivazione, voglia di fare, ed anche la patologia da cui è affetto ha una minore incidenza sulla sua vita di tutti i giorni. SI sveglia al mattino con stimolo, voglia di fare, di relazionarsi, di prendersi cura di sé. La patologia perde di importanza, passa in secondo piano, non è più un fattore dominante, Mattia si sente una persona valorizzata per la sua interezza.”
A cura di Claudia Pallanca