La moda è da sempre sinonimo di bellezza, stile e status.
Uomini e donne appaiono sorridenti sulle copertine di magazine e riviste, calcano passerelle in abiti haute-couture e posano davanti alle macchine fotografiche. A causa di questo velo di perfezione, non è ancora così istintivo associare la moda alla disabilità e, agli occhi del pubblico, queste appaiono ancora come realtà parallele.
Dobbiamo però ricordarci che la moda adattiva non è invisibile! Nel 1955 Helen Cookman sviluppò “Functional Fashions”, una collezione di 17 articoli per aiutare le persone disabili a vestirsi in modo indipendente. Tra gli elementi adattivi vi erano le pieghe delle camicie, il doppio tessuto sotto le ascelle per resistere all’usura delle stampelle, le chiusure in velcro e le cerniere laterali.
Oggigiorno vi sono numerosi brand che hanno esteso la loro linea prodotto abbracciando l’adaptive fashion. Tra questi, Primark, Zalando, Tommy Hilfiger (Tommy Adaptive) e UGG (UGG Universal). Non bisogna poi dimenticare i brand che nascono e si sviluppano come adattivi: IZ adaptive, So Yes, Abilitee e D-Different.
La vera sfida è rendere la moda adattiva glamour, accessibile, variegata e soprattutto conveniente. Questo perché produrre capi con particolari accorgimenti, come l’uso di particolari materiali elastici e le calamite al posto dei bottoni, è sicuramente un procedimento più complesso, costoso e laborioso.
Dunque, la mano d’opera ed il prezzo finale del prodotto aumentano significativamente.
Bisogna poi aggiungere che dal punto di vista estetico non vi è molta varietà, perciò il cliente ha poca libertà di scelta e lo shopping può trasformarsi da un’esperienza piacevole a un momento di disagio e svilimento.
È giusto ricordare che una persona con disabilità raramente può trovare vestiti nei classici store che vediamo agli angoli della strada. Purtroppo, ci sono pochi negozi fisici e questo è un ulteriore disagio che rende lo shopping un’esperienza poco gradevole.
La mission è garantire al consumatore un prodotto che rispetti i movimenti, la forma del corpo, i gusti e il portafoglio. Il tutto è racchiuso all’interno del concetto di “inclusività”: garantire a tutti i soggetti pari diritti e opportunità all’interno di un sistema o di un’attività.
È quindi possibile abbattere queste barriere? Sicuramente la strada è lunga, ma alcuni piccoli passi sono già stati mossi, in particolare attraverso le campagne di sensibilizzazione di numerosi brand. Le multinazionali dovrebbero investire maggiormente nel creare capi di qualità, ma con un prezzo accessibile al pubblico, i quali andrebbero distribuiti su larga scala in buona parte degli store fast fashion e perché no, anche luxury!
Nel mondo ci sono più di un miliardo di persone con disabilità, 100 milioni in Europa e circa 13 milioni in Italia. Numeri altissimi che rappresentano una grande fetta di mercato che attende di essere soddisfatta, offrendo ai mercati internazionali una buona opportunità in termini di sviluppo e fatturato.
A cura di Giulia Petrone